babini serafino e il futurismo

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FUTURISMO Nota introduttiva al sito - FUTURISM Introductory note for website

Serafino Babini e il Gruppo Futurista Lughese (1971-1990) Serafino Babini and the Lugo Futurists (1971-1990)

Babini, Serafino – “The nonconformist who took Futurism in new directions in the latter half of the twentieth century”

The neovanguardismo which emerged in Italy in the years immediately following the Second World War was inspired by Picasso’s cubism first and Duchamp’s surrealism second. But it proved incapable of finding an authentically innovative voice of its own, and its demise was inevitable. Since the 1950s, the visual arts have been trapped in a downward spiral whose latest stage is the irresistibly distracting Un-limited-Art, impregnated with dishwater, lyricism and an increasing engagement with concerns that have nothing to do with its own orientations. So far has it strayed that its resorting en masse to objectual intromission has on occasion been presented as a deviation whose principal purpose is entertainment, a joke on the art world that makes banalities out of speculative thought and transforms observers into nothing more than a herd of consumers.
il quadro di babini serafino It was against this backdrop that in 1968 the painter Serafino Babini, an exponent of abstract expressionism with a growing familiarity with Futurism, finally embraced the movement seeing its regenerative vitality reflected in the student protests that demanded a new beginning. And like May 68 in Paris and its visionary-provocative motto: “Be realistic, demand the impossible”, the protests sparked a revivalism that was typically vitalist in its appeals for new powers for the imagination. But in Babini’s case, the revival took the form of a clean break, not an exercise in looting bereft from the outset of any ethical, stylistic or aesthetic precepts.
Not only did he tap into all the expressive freedom which the new atmosphere of dynamism gave, he also put a provocative new spin on its original style. The Imola-based futurist Mario Guido Dal Monte informed Babini of the Rome chapter which had recently assembled around the review Futurismo-oggi, whose editor was Enzo Benedetto - the author, in 1967, of the manifesto of the same name directed at old futurists who were still active - and Babini joined the group.
This gave Babini the idea of forming a circle of his own. In 1970, Babini assembled an incipient core group of young painters and together they formed the Lugo Futurists the following year. The group met in the nascent Galleria Permanente d’Arte where, in March 1973, it held its first joint exhibition with the Rome group, entitled 18 Futurists in Lugo. The Lugo Futurists were overtly part of the countercurrent, and adopted a flagrantly subversive stance to officialdom and the prevailing “we are all artists” demagogy. At a time when prejudice against Futurism was still strong, the group was boycotted before it could even be misunderstood: even if, historically, it hasn’t been entirely overlooked.

Il cosiddetto neoavanguardismo, sorto in Italia nell’immediato secondo dopoguerra, principalmente sotto l’influenza del cubismo picassiano prima e del duchampismo poi, essendosi mostrato incapace di sbocchi autenticamente innovatori, era prevedibile un suo irreversibile scadimento. Infatti, a partire dagli anni ’50 l’arte visiva è andata sempre più avvitandosi su se stessa fino all’attuale distraente e compulsiva Unlimited-Art, impregnata di rigovernature, di lirismo e da una crescente confusione di proposte estranee alla sua specificità. Tanto diverse che il suo massiccio ricorso all’intromissione oggettuale si è puntualmente presentato come una devianza finalizzata soprattutto all’intrattenimento e tale da risultare un’autentica truffa culturale in grado di banalizzare il pensiero speculativo e trasformare i destinatari in semplice gregge consumista. Di fronte a una prospettiva del genere, nel 1968 il pittore Serafino Babini, dopo un’adesione alle forme dell’espressionismo astratto, avendo approfondito la conoscenza del Futurismo, finì con l’abbracciarlo intravedendo la sua vitalità rigeneratrice nelle istanze avanzate dalla contestazione studentesca reclamante, a gran voce, una generale palingenesi. E proprio come nel Maggio francese, il cui motto fortemente provocatorio e visionario: “Siamo realisti! Vogliamo l’impossibile”, la protesta aveva provocato in Italia quel rilancio tipicamente vitalista, reclamante la fantasia al potere. Un recupero pertanto, quello di Babini, avvenuto nel segno di una netta cesura, in opposizione a un saccheggiamento mimetizzato già mancante di qualsiasi concezione etica, stilistica o estetica.
A tal fine, insieme alla libertà espressiva legata al dinamismo, egli ne adottava provocatoriamente lo stile originario.
Per questa scelta, il futurista imolese Mario Guido Dal Monte lo informò del sodalizio romano da poco raccoltosi intorno al periodico “Futurismo-oggi”, diretto da Enzo Benedetto – autore, nel 1967, dell’omonimo proclama rivolto ai vecchi sodali ancora attivi –, e Babini vi aderì nel segno di una continuità in divenire.
Da qui nacque l’idea di una propria compagine. Per cui, nel 1970, raccolse intorno a sé un iniziale nucleo di giovani pittori che, in condivisione di idee, l’anno dopo, diede vita al Gruppo Futurista Lughese. Gruppo che ebbe sede presso la nascente “Galleria Permanente d’Arte” dove, nel marzo 1973, debuttò insieme al sodalizio romano in una prima mostra comune dal titolo 18 futuristi a Lugo.
In un tempo nel quale la prevenzione verso il Futurismo era ancora forte, il Gruppo – per quanto si presentasse come novità controcorrente, di portata fortemente sovversiva rispetto all’ufficialità e all’idea demagogica, più stravolgitrice che nuovista, del “tutti siamo artisti” –, fu subito boicottato, prima che malinteso, anche se poi storicamente non del tutto eluso.

In tal modo il filone dominante della pittura di denuncia, ormai avviata alle elucubrazioni del concettualismo, aveva proseguito quella di impegno sociale, praticata dagli artisti nati negli anni ’20 e ’30, al seguito della critica militante tanto contraria ad aperture o ripensamenti quanto incline alla drammatizzazione e all’inquietudine, nonostante lo scadimento prodotto dall’intellettualizzazione. Una critica indirizzata ad apprezzare più la macchinosità delle tematiche, già rigettate dall’impressionismo, piuttosto che dare importanza allo stile e alla qualità esecutiva. Quindi inevitabilmente destinata a smarrirsi nel mare magnum della banalità plebea, del dopolavorismo, dell’effimero e della rozzezza estetica, tipiche di ogni appiattente retorica populista, oltretutto ignara che ciò che perde la propria forma cessa di esistere.
Di fronte a un tale fallimento, proprio la celebrazione del Centenario del Futurismo poteva costituire, per una critica più attendibile, l’occasione per ricordare quel precoce tentativo, certamente degno di rilievo. Non foss’altro per l’antiveggenza dimostrata. Essa purtroppo, trasposta dal campo letterario dei vaneggiamenti a quello della rappresentazione visiva, estraneo a sé come formazione, non è stata in grado né di giudicare con la dovuta competenza, né di recepirne le motivazioni.
Pertanto, insensibile all’estetica delle forme, e dimentica delle sue pagine impregnate di pesantezza contenutista, alla fine, da esegetica si è fatta ancella del conformismo, del mercato e dei dettami delle mode scambiate per innovazione.
Così, da intrusa dimentica della storia e non più teorizzante, la critica, essendo in realtà formata da un’accozzaglia di parlatori d’arte e di imbonitori della stupidità trionfante, sembra non sapere che nei ritorni si è sempre riconosciuta l’intenzione del nuovo. Per cui, assecondando schemi contenutisti più adatti alla scena teatrale e allo spettacolo, continua a non percepire che se non è solo il soggetto che può dare il capolavoro o creare l’emozione, ancor più sembra ignorare che la bellezza – conformemente all’idea di un nobile poeta come Oscar Wilde – rivela tutto proprio perché non esprime nulla: la bellezza della forma, riproposta dal Gruppo Futurista Lughese e dal suo fondatore, non le metafore o le installazioni.